Palestina e Israele, il sorgere di una proxy war?
di Mattia Paterlini
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Risalgono alla seconda settimana di maggio l’inizio di nuovi scontri tra la popolazione palestinese e quella Israeliana in terra di giudea. L’inizio degli scontri sarebbe stato causato dallo sfratto di alcune famiglie palestinesi da Gerusalemme Est, nel quartiere di Sheikh Jarrah, per far spazio a quelle di coloni israeliani.
Il fatto compiuto, unitamente alle restrizioni che hanno reso difficoltosa la preghiera ai fedeli musulmani durante il mese di Ramadan, avrebbe portato allo scoppio delle proteste nei pressi della di Al-Aqsa. La moschea si trova all'interno di un sito di 35 acri conosciuto dai musulmani come Haram al-Sharif, o il Nobile Santuario, e dagli ebrei come il Monte del Tempio e fa parte della Città Vecchia di Gerusalemme, sacra a cristiani, ebrei e musulmani.
Dopo un fine settimana di tensione, che ha visto contrapporsi notte e giorno l’esercito Israeliano ai fedeli musulmani, più volte costretti a rifugiarsi all’interno della moschea per sfuggire ai tentativi di sgombero del IDF, si è assistito nella giornata di Lunedì 10 maggio alla marcia del Jerusalm Day. Commemorazione del giorno in cui Israele occupò Gerusalemme Est nella guerra del 1967, atto illegale ai sensi del diritto internazionale secondo il Piano di partizione della Palestina elaborato dall’UNSCOP nel 1947.
Da allora si è assistito ad una vera e propria escalation degli scontri che hanno visto entrambi gli schieramenti dialogare tramite la diplomazia dei missili e dei bombardamenti. Hamas ha risposto agli sgomberi anzitutto proclamando una terza intifada e lanciando su Israele, da Gaza e dal basso Libano, circa 1500 missili - più di 500 nelle sole ultime 48 ore - mettendo a dura prova il sistema missilistico difensivo israeliano Iron Dome. Israele a sua volta ha risposto avviando diverse campagne di bombardamento sulla striscia di gaza, colpendo 600 obbiettivi, e richiamando 5000 riservisti per rimpinzare le fila dell’esercito.
La presenza di una crisi latente tra le due popolazioni e la preponderante forza israeliana sono fatti risaputi. Bisognerebbe quindi chiedersi perché il conflitto è scoppiato proprio in questo momento? Con un Israele politicamente debole che vede un ex-Primo Ministro, Netanyau, che non trova una maggioranza con cui formare un governo, costringendo il Presidente Rivlin a cedere la palla a Yair Lapid, attuale capo dell’opposizione. Mentre per i palestinesi si approssima la data delle elezioni, indetta al 22 maggio, che vede contrapposte gli schieramenti di Hamas e Fatah.
Inoltre per quanto tempo Hamas potrà portare avanti una massiccia campagna missilistica capace di mandare in crisi il maggiore sistema missilistico di difesa al mondo? Da dove arrivano i soldi con i quali Hamas si finanzia e come ha fatto ad accumulare una tale scorta di materiale bellico?
I collegamenti della Striscia di Gaza, che un tempo erano costituiti da un vasto dedalo di tunnel che la collegavano al confinante Egitto, sono stati chiusi a seguito dell’ultima grande invasione via terra da parte di Israele tramite l’operazione piombo fuso nel 2009. Da allora è presupponibile che i rifornimenti giungano nella Striscia via mare, sfruttando le debolezze della marina militare israeliana. Essendo lo stato circondato da nemici i suoi sforzi maggiori si sono sempre concentrati nell’accrescimento del potenziale militare via aria e terra.
I legami di Hamas possono essere fatti risalire a diversi partner internazionali quali il Venezuela, la Turchia e l’Iran.In Venezuela risiedono organizzazioni criminali che fungono da contatto tra organizzazioni operanti in differenti nazioni. Ciò è reso possibile dal beneplacito del governo di Maduro facilmente corrompibile tramite il denaro. Testimoniato dal fatto che molti alti vertici del paese intrattengono dirette relazioni con queste organizzazioni criminali. Lo stato può quindi fungere da terreno di intermediazione tra le varie organizzazioni.
Nonostante le discrepanze religiose tra Hamas e l’Iran, il primo sunnita ed il secondo sciita, i due sono accomunati dalla logica del nemico comune. Teheran vede quindi di buon occhio l’organizzazione più intraprendente nella lotta al nemico giurato Israele, Hamas, ed è quindi possibile che sia essa stessa a rifornire parzialmente le scorte militari della Striscia. Anche solo fornendo le materie prime necessarie alla fabbricazione dei razzi, come del resto è stato riportato dai servizi di intelligence israeliani pochi mesi prima dell’inizio del conflitto.
In ottica contraria è asseribire un allontanamento dei paesi del golfo dalla componente sunnita riottosa di Hamas a seguito della ratifica degli accordi di Abramo, avvenuti tra i capi di Stato di Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein sotto l’egida dell’allora presidente Trump.
Chi potrebbe quindi avvantaggiarsi dall’esacerbarsi del conflitto?
Lo Stesso Netanyau potrebbe trarre vantaggio da questa situazione destabilizzante. Monolite della politica interna israeliana potrebbe porsi come unica figura in grado di ristabilire la pace nel paese, che nel frattempo va trasformandosi da uno stato di prostesa, ad uno di guerra ed infine in anarchia. Con la popolazione israeliana che a più riprese è scesa per le strade distruggendo proprietà e linciando cittadini palestinesi. Tuttavia è da tenere in considerazione come dal punto di vista internazionale Netanyau abbia perso parte del supporto statunitense con l’insediarsi del nuovo presidente Biden. Non così allineato alla politica israeliana come il precedente Trump. Infine Netanyau potrebbe cogliere la palla al balzo e sfruttare la situazione di guerra per portare a compimento un progetto da lui desiderato da tempo, e raggiungibile qualora venissero richiamati ulteriori contingenti di riservisti, ovvero l’annessione della Cisgiordania in toto. Superando una volta per tutte il Piano di partizione della Palestina del 1947.
Hamas stessa vede di buon occhio l’esacerbarsi della lotta in sede di elezioni. Legittimandola come unica fazione difensiva del popolo palestinese e contrapponendosi a Fatha rea di aver cercato una via diplomatica di pace con Israele. In quest’ottica si potrebbe spiegare la grande accumulazione di armamenti nei mesi passati ed utilizzati verso Israele in questi giorni.
Infine la Turchia risulta essere l’ultimo attore che si avvantaggerebbe dal crescendo del conflitto in un ottica espansionistica del vecchio califfato ottomano. Il Telegraph britannico ha riportato come in passato la turchia abbia acquisito legami con Hamas arrivando a concedere passaporto e cittadinanza ad alcuni dei più alti vertici dell’organizzazione. Essendosi espresso in precedenza, dopo gli scontri di Gaza del maggio 2018: “Hamas non è un’organizzazione terroristica e i palestinesi non sono terroristi. È un movimento di resistenza che difende la patria palestinese contro un potere occupante. Il mondo è solidale con il popolo palestinese contro il suo oppressore”. Nell’ottica di allargamento del sultanato, su quanto già avvenuto in Libia, Siria e Nagorno Karabakh, il Sultano potrebbe voler sfruttare la situazione di instabilità per inviare truppe turche nell’area. Così da allargare i tentacoli dello Stato ed ampliare un cuscinetto d’azione che all’oggi comprende l’intero Medio Oriente. Ciò si rispecchierebbe con le ultime parole spese da Erdogan verso il suo omologo russo Putin nel corso di un’ultima telefonata avvenuta pochi giorni fa: “che si lavori sull’invio di forze di pace internazionali nella regione per aiutare a salvaguardare i palestinesi, una proposta che la Turchia ha fatto nel 2018”.
Bibliografia:
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https://formiche.net/2019/10/corporazione-siriana-venezuela/
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https://www.al-monitor.com/originals/2021/04/report-outlines-how-iran-smuggles-arms-hamas
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https://it.insideover.com/terrorismo/erdogan-il-sostegno-a-hamas-e-il-dilagare-del-jihadismo.html
- https://www.panorama.it/news/dal-mondo/nei-missili-israele-gaza-erdogan-turchia
Immagine: Israeli artillery firing toward Gaza on Wednesday.
Credit: Dan Balilty for The New York Times