L’Italia nel Mediterraneo “?”
di Mattia Paterlini
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Vi era un tempo in cui Roma era una potenza indiscussa, ed il Mediterraneo possedeva un altro nome: Mare Nostrum. Perché da padroni assoluti di questo specchio d’acqua ne controllava le rotte e di conseguenza la totalità del commercio in esso contenuto.
Ora i tempi sono differenti, ma le caratteristiche geografiche e le condizioni del dominio non sono cambiate. Per queste motivazioni, come GeoHub, blog degli studenti Link Campus University, abbiamo deciso di organizzare una Lecture che affrontasse questa tematica, declinandola al presente volendo discutere delle sfide contingenti che si prospettano al nostro Paese.
Abbiamo avuto il piacere di ospitare presso la nostra Università Lucio Caracciolo, Direttore di Limes, il quale si è confrontato con noi studenti sull’importanza del nostro Paese nel Mediterraneo. L'incontro è partito da una riflessione iniziale: Cosa vuol dire essere marittimi? Significa guardare non il mare dalla terra, come vorrebbe la dimensione classica dell’uomo ancestrale che affacciandosi a questa enorme distesa blu non può che provare immediatamente sentimenti contrastanti di fascino e di paura, ma al contrario, essere marittimi sta a significare la veduta della terra dal mare.
Intrinsecamente tale definizione vuole rappresentare la piena consapevolezza dell'enorme risorsa che il mare rappresenta per l'uomo. Consapevolezza che si presenta quindi solamente una volta superato quello scoglio iniziale dato dalla paura dell'ignoto. Cognizione che porta a trarre quella correlazione tridimensionale fondamentale tra il mare, la potenza di uno Stato-impero-nazione, ed il commercio.
Il mare, infatti, è da sempre risorsa storicamente sfruttata dalle potenze talassocratiche. Ovvero quegli Imperi che consci della risorsa marittima si sono spinti al suo controllo al fine di carpirne tutti i vantaggi e poterli utilizzare a loro favore; ed a sfavore dei loro nemici. Imperi, quindi e non semplici regni o stati, in quanto il controllo del mezzo marittimo permette la connessione tra territori non comunicanti e virtualmente molto distanti tra loro. Distanza non solamente geografica ma anche storica e culturale; fattualità che supera l’attuale concezione di territorio nazionale.
Ascoltando le riflessioni di Caracciolo è facile accorgersi di come il Mediterraneo sia quindi cosa naturale per noi italiani, la cui storia è attraversata anzitempo dal già citato Impero romano e successivamente dalle Repubbliche marinare; e di come tuttavia noi italiani odierni abbiamo dimenticato tale naturalezza intrinseca nella nostra storia.
Nonostante l’importanza economica e politica del passato, le dinamiche del mondo globalizzato odierno hanno portato ad un ridimensionamento nell’importanza del Mediterraneo; il quale tuttavia permane fondamentale per la navigazione transoceanica dall’Atlantico all’Indo-Pacifico. Caracciolo infatti lo ha definito il medio-oceano, in qualità della sua posizione strategica.
Il Mediterraneo infatti, attraverso i suoi stretti che permettono di evitare la circumnavigazione del continente africano, rappresenta un corridoio strategico al cui interno passa la totalità delle rotte Est-Ovest. La capacità di apertura e di chiusura di questi lembi di terra strategici rappresenta la conditio sine qua non della nostra sopravvivenza, come di quella di tutti gli altri Stati che si affacciano sulle sue sponde.
Il controllo di queste vie strategiche ha come obbiettivo il raggiungimento della sicurezza, che altro non è che variabile indipendente dell’equazione economica, alla quale è subordinata quella dipendente del commercio. Basti pensare che proprio in questi colli di bottiglia si concentra la maggior parte degli sforzi militari internazionali per il controllo delle rotte marittime. Ci si riferisce allo stretto dei Dardanelli, al Golfo di Suez ed allo stretto di Gibilterra. Esempio per antonomasia é appunto rappresentato dal Golfo di Aden dove si concentrano all’incirca dieci diversi contingenti militari di altrettanti paesi, tra Marina ed Aeronautica, per il controllo dello stretto; ergo il libero passaggio di navi mercantili a fini commerciali.
Caracciolo ci ha quindi ricordato della centralità geo-strategica naturale del nostro Paese, che vede le sue terre allungarsi in profondità nel Mediterraneo segnando inoltre la separazione attuale tra l’Occidente e Caoslandia, ovvero quella fascia di territori grossomodo racchiusa tra i due tropici, del Cancro e del Capricorno, all’interno dei quali sono concentrati quasi tutti i conflitti del pianeta. In questa fascia di terra, non esistendo una concezione di Stato-nazione intesa come negli spazi occidentali, i confini sono frequentemente labili e spesso rappresentati da mere linee tracciate nella sabbia. Sintomo del retaggio coloniale che continua ad esprimersi tutt’oggi, specialmente nel continente africano, tramite la proiezione di interessi politico-economici delle vecchie madrepatrie.
Come sostiene Caracciolo, sulla base del retaggio storico e della rilevanza odierna per l’Interesse nazionale, oggi l’Italia avrebbe quindi una responsabilità di vigilanza verso se stessa e verso il sistema di intese internazionali a cui appartiene, rispetto soprattutto ad una frontiera contesa, ovvero quella libica. Frontiera che viene all’oggi segnata da una sorta di limes che corre da Sirte fino alle profondità del mare desertico del Fezzan, che vede attualmente una contrapposizione tra turchi ad occidente e russi ad oriente. Nonostante la presenza di questo gioco di forza dal quale siamo attualmente, praticamente, esclusi vi sono poste in gioco energetiche e politiche molto forti per il nostro Paese. ENI per esempio possiede forti investimenti in Tripolitiania dai quali dipendono parte dei rifornimenti di combustibile fossile diretti verso il Bel Paese. Senza considerare l’imminente presenza nelle nostre acque internazionali di attori stranieri i cui obiettivi in politica estera spesso si sono dimostrati avversi ai nostri.
In tale ottica, non volendo fare il passo più lungo della gamba, l'Italia dovrebbe concentrare la sua attenzione su due zone mediterranee ai fini della sicurezza nazionale e della sicurezza delle intese alle quali apparteniamo. Parliamo della fascia costiera basso adriatica che si affaccia sui paesi balcanici, da sempre altamente instabili; e di quella di fronte alle coste libiche. Entrambe rientrano all’interno di quel triangolo geo-marittimo individuato da Limes tra Roma, il Golfo di Guinea e il Golfo di Aden. Controllare, in special modo, lo stretto di Sicilia ed il basso Adriatico risulterebbero due sfide economico-militari alla nostra concreta portata. Oltre a ciò, è di fondamentale importanza considerare come l’80% del territorio Mediterraneo sia già militarizzato ad oggi, ovvero terrificato. In altri termini gli Stati affacciati sul Mediterraneo hanno posto, unilateralmente, sotto la loro tutela economica specifici tratti di mare. Apparentemente si tratterebbe di dichiarazioni di principio di carattere giuridico, con riflessi economici o ambientali, mentre di fatto sono sfere di influenza geopolitica.
L’Italia nel frattempo non ha mai partecipato a questa terrificazione perché considerato “maleducato”, senza rendersi tuttavia conto che gli altri lo hanno fatto. Con i fatti non si discute, ci si frappone. Nonostante la cattiva partenza qualche mese fa il Parlamento italiano ha dato il via libera alla possibilità di dotarci di una Zona Economica Esclusiva, al pari di quanto già fatto dagli altri attori mediterranei; il che garantirebbe la frapposizione agli interessi esteri, in special modo quelli nordafricani e turchi, che sempre divengono più incombenti; rendendo anche un segnale di forza sullo scenario internazionale. Ovviamente per fare ciò risulta di primaria importanza considerare il sistema di alleanze del quale facciamo parte al fine di non arrecare sgarbi agli alleati occidentali; partner fondamentali nella sfida decisiva del controllo Mediterraneo.
Una domanda che sorge quasi spontanea alla fine di questa Lecture è se l’attuale sistema di intese sia in grado o, peggio ancora, sia interessata a supportarci nella costituzione di questa zona cuscinetto. O sia forse giunta l’ora di rimodellare il sistema di intese, in modo più ristretto, al fine di raggiungere gli obbiettivi citati? Andando quindi a considerare solamente quelle nazioni che per affinità alla nostra storia, cultura ed interessi geopolitici possano esserci d’aiuto; come già teorizzato da un’amministratore francese, purtroppo poco conosciuto, già nella seconda metà del secolo passato?
Immagine: Il Direttore Lucio Caracciolo insieme a Valerio Ambriola, ex studente e membro fondatore GeoHub