L’Insulo de la Rozoj e l’Indipendenza Sanante
di Vincenzo Maria Binetti
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Introduzione
Circa un anno fa, in questo periodo, debuttava sulla nota piattaforma Netflix il film “L’incredibile storia de L’Isola delle Rose”.
La vicenda, a lungo caduta nel dimenticatoio, è tornata negli scorsi mesi al centro di numerosi ed accesissimi dibattiti, invero troppo spesso viziati da utopiche ideologie e anacronistici fanatismi.
Profondamente addolorato dalla facilità con cui la propaganda mediatica manipola la coscienza di una generazione assopita, cerco di ricostruire nel modo più obiettivo possibile quanto avvenne tra il 1968 e il 1969 al largo della costa riminese.
Cenni Storici
L’Isola delle Rose fu una piattaforma artificiale di 400 m² - o, secondo taluni, uno Stato - realizzata nel Mar Adriatico a 11.612 km dalla costa di Rimini. Tale distanza non fu casuale, infatti la piattaforma veniva a situarsi 500 m al di fuori delle acque territoriali italiane, e quindi all’interno delle cosiddette “acque internazionali”.
L’Isola, progettata dall’Ing. Giorgio Rosa nel 1958 e terminata nel 1967, proclamò la sua indipendenza il 1° maggio 1968.
Tale evento attirò l’attenzione e le preoccupazioni del limitrofo Stato italiano, che il 26 giugno 1968 occupò l’Isola, la sottopose a blocco navale, e nel febbraio dell’anno seguente procedette alla sua demolizione.
Natura Giuridica: Stato o Piattaforma?
Al fine di condurre un’analisi non già ideologico-politica, bensì squisitamente giuridica, occorre delineare la natura di diritto del protagonista di questa vicenda.
Molti ritengono che l’Insulo de la Rozoj (nome ufficiale della piattaforma) fosse un vero e proprio Stato, opinione certamente alimentata dalla suggestiva proclamazione di indipendenza, e condivisa dal film ispirato alla vicenda. Ebbene, da un punto di vista giuridico, l’Isola delle Rose non fu mai uno Stato.
Se da un lato, infatti, essa era dotata dei connotati tipici di ogni nazione, tra cui lingua (l’esperanto), moneta (il Millis), bandiera, e governo locale, dall’altro tali connotati non erano (e tuttora non sono) costitutivi di personalità giuridica internazionale.
L’unico elemento idoneo a far acquistare soggettività internazionale ad uno Stato è la sovranità, requisito che ha carattere pregiuridico, e che va inteso in duplice senso, riferendosi da un lato alla capacità dello Stato di esercitare la propria attività nei confronti di una comunità stanziata all’interno del proprio Territorio (c.d. “effettività” o “sovranità interna”), e dall’altro alla capacità dello Stato di agire senza alcuna ingerenza da parte di Stati terzi (c.d. “indipendenza” o “sovranità esterna”).
Anche ammettendo che la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose fosse in grado di esercitare le sovrane funzioni legislativa, giudiziaria ed esecutiva (le prime due mai esercitate in quanto prive di apparato organizzativo, l’ultima invece esercitata da un governo autoproclamatosi, e composto da sole sei persone) sui suoi abitanti (formalmente solo tre), essa non fu mai in grado di agire senza l’ingerenza di Stati terzi, come il suo stesso epilogo conferma.
Volendo spezzare una lancia a favore dell’Isola, il fantomatico riconoscimento che essa mai ottenne da parte degli altri Stati, e che spesso viene richiamato durante il film, è una mera prassi politica, e in quanto tale è privo di ogni rilevanza sul piano giuridico. In altri termini, uno Stato è tale a prescindere dal riconoscimento della comunità internazionale, purchè presenti il già menzionato requisito della sovranità.
Una Proclamazione di Indipendenza “Sanante”
Negata una volta per tutte la possibilità di inquadrare l’Isola delle Rose quale Stato, e disincantato il romantico clichè della “italianissima storia di anarchia”, è giunto il momento di chiarire che essa fu, né più, né meno, che un’italianissima storia di abusivismo edilizio.
Non è difficile immaginare quale traffico commerciale potesse ruotare attorno ad un locale balneare situato di fronte a Rimini - ubicazione sicuramente non casuale - e di quale natura fossero i reali interessi celati dietro il mito della “felice isola anarchica”.
L’unico aspetto che rende questa vicenda singolare, e che in qualche modo la ravvicina ad una matrice pseudo-anarchica, è il genio italiano dell’Ing. Rosa, che all’istituto giuridico del condono edilizio, sostituisce una proclamazione di indipendenza, probabilmente approfittando del riottoso clima sovversivo dell’epoca (siamo pur sempre nel 1968), al fine di “sanare” il carattere abusivo della sua opera.
È possibile affermare con una certa sicurezza che, se l’Italia non si fosse opposta così duramente, considerato il carattere consuetudinario del diritto internazionale, l’Ing. Rosa, oltre che ad uno Stato indipendente, avrebbe dato vita anche ad un istituto giuridico del tutto nuovo e dalla strabiliante rilevanza: la “proclamazione di indipendenza sanante” (costituendo, peraltro, uno dei più importanti precedenti di sempre).
Il Diritto Internazionale
Tra il 1958 e il 1960 Rosa effettuò numerosi sopralluoghi nella zona, studiando il sistema migliore per ancorare la piattaforma al fondale. Superati alcuni problemi tecnici e finanziari, fu avviata la costruzione della struttura, che fin da subito venne osteggiata in vario modo dalle autorità, soprattutto in virtù del fatto che essa costituiva un chiaro ostacolo alla navigazione.
Ciò nondimeno, i lavori proseguirono fino a quando, verso la fine del 1966, la Capitaneria di Porto di Rimini chiese che venissero fermati, in quanto diverse aree nella zona erano state date in concessione all’ENI. Anche la polizia si interessò alla vicenda, ma Rosa riuscì comunque a proseguire l’opera di costruzione, e già nell’estate del 1967 aprì l’Isola al pubblico.
Al contrario di quanto taluni affermano, la presenza dell’Isola non violava né i diritti esclusivi dello Stato italiano sulla piattaforma continentale (in quanto la normativa di riferimento, la Convenzione di Montego Bay, risale al 1982, ed è quindi posteriore all’epoca dei fatti), né l’art. 2 della Convenzione di Ginevra sull’Alto Mare del 1958, il quale afferma che “l’Alto Mare è libero a tutte le nazioni e nessuno Stato può legittimamente pretendere di sottometterne una porzione qualsiasi alla propria sovranità”, e che “ogni Stato che fruisce delle libertà riconosciute dalle norme di diritto internazionale deve tener conto dell’interesse che gli altri Stati hanno per l’Alto Mare”.
Infatti, l’interpretazione letterale dell’articolo menzionato lascia intendere che esso abbia come destinatario uno Stato già esistente, il quale tenti di espandersi territorialmente, fenomeno diverso da quello in esame, che vede uno Stato costituirsi ex novo su una porzione di mare per l’appunto “libero”. In altre parole, tale disposto ha come destinatario uno Stato esistente, ma poichè l’Isola delle Rose venne ad esistenza proprio nel momento in cui commise tale occupazione, la disposizione non poteva applicarsi ad essa, poiché prima di tale momento l’Isola ancora non esisteva.
Ad ogni modo la piattaforma, seppur costruita in acque internazionali, violava una serie di normative italiane, tra cui la Legge n.613/1967 (“Ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale”) e la Legge n.136/1953 (“Istituzione dell’Ente Nazionale Idrocarburi”), in quanto veniva impiegata per eseguire attività di esplorazione del sottosuolo e di sfruttamento dell’acqua dolce, senza alcun tipo di concessione o autorizzazione per lo sfruttamento delle risorse naturali nella Piattaforma Continentale.
Profili Penali: Ieri e Oggi
Può suscitare ilarità la circostanza che, al netto della rilevanza nazionale e internazionale conseguita dalla vicenda, l’Ing. Rosa e i suoi “complici” ne siano usciti del tutto impuniti.
Eppure, sempre valutando i fatti sotto l’analitica lente del diritto, essi formalmente non commisero alcun reato.
Sebbene, infatti, in un primo momento il Governo italiano avesse qualificato la costruzione dell’Isola e la sua dichiarazione di indipendenza come “fatti idonei a mettere in pericolo la sicurezza nazionale” e la personalità dello Stato - giudizio probabilmente viziato dal timore dei moti che stavano pervadendo tutto l’occidente - tale tentativo presto naufragò.
La difficoltà di punire non va ricercata nella circostanza che l’Ing. Rosa avesse operato al di fuori del territorio italiano, ben potendo la legge penale italiana punire il cittadino o lo straniero che commettano in territorio estero delitti contro la personalità dello Stato italiano (art. 7 n.1 c.p.).
La difficoltà, al contrario, stava proprio nel qualificare gli atti posti in essere dall’Ing. Rosa quali “delitti contro la personalità dello Stato” ai sensi dell’art. 241 c.p. (Attentati contro la integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato), il quale all’epoca disponeva quanto segue:
“Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza dello Stato è punito con l’ergastolo. Alla stessa pena soggiace chiunque commette un fatto diretto a disciogliere l’unità dello Stato, o a distaccare dalla madre Patria una colonia o un altro territorio soggetto, anche temporaneamente, alla sua sovranità”.
Orbene, è piuttosto difficile definire con certezza quali attività siano in potenza idonee a “sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza o l’unità dello Stato”, salvo che, nel termine “atti”, si faccia rientrare l’opinione, interpretazione invero propria del legislatore del 1930, e non del 1968.
E in effetti, fin dai primi anni settanta, la necessaria attenzione verso le indicazioni della Costituzione, e la conseguente osservanza del principio di offensività e sufficiente determinatezza della fattispecie, hanno portato a riconoscere l’idoneità della condotta quale principio informatore di tutte le fattispecie incriminatrici, sul presupposto che, in mancanza di tale requisito, si finirebbe col sanzionare una mera intenzione pericolosa, la quale si tradurrebbe nell’unica ragione d’essere della medesima (così Bettiol). Alla luce di tale orientamento si è giunti ad interpretare l’espressione “atto diretto a” come “atto idoneo diretto a” sino a giungere, grazie all’intervento della Corte di Cassazione, al concetto di “atto non inidoneo diretto a”: in sostanza, si tratta di un reato di pericolo.
Infatti, la previsione richiede che si produca un effettivo pericolo per gli interessi tutelati (per questo si parla di “non inidoneità”), e non una mera “direzione non equivoca degli atti”, tipica dei reati di attentato, né una semplice “idoneità”, che a sua volta caratterizza il c.d. tentativo.
Inoltre, non sembra che l’operato dell’Ing. Rosa sull’Isola abbia coinvolto alcuna porzione del “territorio dello Stato”(poichè le zone del sottosuolo destinate ad essere sfruttate dallo Stato italiano non rientrano nel concetto di territorio statale).
Per queste ragioni, la condotta di Giorgio Rosa non potè considerarsi illecita, nè di conseguenza punibile.
L’art. 241 c.p. è stato modificato dalla Legge n.85/2006, non a caso intitolata “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione”. Vale la pena domandarsi se, alla luce del nuovo disposto, la condotta dell’ing. Rosa rimarrebbe comunque lecita. La norma, così come novellata, dispone che:
“[…] chiunque compie atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza o l’Unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni […]”.
La nuova formulazione non pone alcun dubbio, infatti, oltre ad essere “idoneo”, l’atto deve anzitutto essere “violento”, e poiché l’ing. Rosa non commise “atti violenti”, la sua condotta si confermerebbe tutt’oggi non illecita.
Conclusione
Il proposito di questo breve scritto era di condurre un’analisi tecnico-giuridica della vicenda dell’Isola delle Rose. Ebbene, giunti alla conclusione, appare evidente che non furono tanto le questioni giuridiche, pur dotate di una loro rilevanza, a determinare una così dura repressione del fenomeno da parte dello Stato italiano, quanto piuttosto le questioni politiche e sociali, non ultimo il timore - fondato - che tale episodio potesse costituire un precedente di rilevanza internazionale.
Immagine: Isola delle Rose 1968
Pubblico Dominio