La città del futuro senza passato
di Juan Felicioni
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Si chiama Marc Lore l’ennesimo imprenditore visionario. Mentre Elon Musk e Jeff Bezos conquistano lo spazio, l’ex CEO della sezione e-commerce di Walmart (famosa catena americana di negozi al dettaglio) vuole concentrare i suoi sforzi, ma soprattutto il conio, sul nostro pianeta. L’idea? Quella di costruire una nuova città, partendo da zero, su territorio americano. Il preventivo si attesta intorno ai 400 miliardi di dollari. Per un rapido paragone, il patrimonio stimato di Jeff Bezos è pari a 205 miliardi di dollari.
Telosa è il nome che già è stato dato alla città che andrà a rappresentare i nuovi standard urbani del futuro. Sì, perché questa sua visione – utopica o meno lo vedremo negli anni – non mira ad edificare semplicemente un nuovo insediamento urbano, ma una nuova forma di società.
Basta spendere pochi minuti sul sito del progetto, affidato allo studio di architettura danese BIG di Bjarke Ingels, per notare quanto si stia puntando in alto con Telosa: “aperta”, “equa” e “inclusiva” sono alcuni degli aggettivi che vengono messi in primo piano. L’idea non è solo di caratterizzare la città da ideali attraenti, ma anche di renderla un progetto pilota (una sorta di precedente, di primo passo) per le città del futuro, che ben sappiamo, dovranno puntare soprattutto alla sostenibilità. Non per niente è già stata battezzata Telosa, proveniente dal greco telos (obiettivo, compimento, per loro “uno scopo più alto”).
Telosa sarà una città veramente futuristica, con sistemi sotterranei di trasporto di rifiuti, la viabilità darà priorità ai pedoni e ciclisti, sistemi automobilistici a guida autonoma, copertura fotovoltaica, depositi idrici all’avanguardia e così via. Una città alimentata da energia rinnovabile, dove “i cittadini saranno informati e i politici responsabili”, “gli studenti avranno i migliori professori” e diverse opzioni di alloggio saranno disponibili a tutti. Una città che lavora per – e con – la sua comunità cittadina. Un progetto resosi necessario anche per far fronte alla sfida climatica che il mondo deve affrontare nei prossimi anni.
Bellissime parole. Nonostante questo, non posso fare a meno di storcere il naso ogni momento in cui penso o leggo su Telosa. Sempre nella pagina web, tra le motivazioni, viene posta la domanda “Perché una città sostenibile?” e la breve risposta data è “Un miliardo di persone sono minacciate dal cambiamento climatico entro il 2050”. Quasi una presa in giro se consideriamo che tale progetto potrà inizialmente ospitare 1 milione di abitanti, per arrivare a 5 nei successivi 10-20 anni. Questo senza tralasciare che nel 2050 la popolazione mondiale prevista raggiungerà circa 10 miliardi di persone. Come scritto nell’ultimo mio pezzo sul blog, questo aumento sarà maggiormente localizzato in aree più povere, come l’Africa Subsahariana e l’Asia Centrale e del Sud[1]. Quindi mi trovo veramente in difficoltà nel comprendere come questo progetto possa servire da precedente per la nuova Città del futuro. Per tutte le ambizioni che ha, sembrerebbe inoltre puntare ad un’idea di città-stato, quasi un modello Singapore. Questo potrebbe funzionare in un paese federale come gli Stati Uniti, ma nel resto del mondo?
L’estensione fisica delle aree urbane si sta verificando con una maggiore velocità rispetto alla crescita della popolazione[2], registrando così un aumento delle aree edificate per capita soprattutto a causa dell'espansione non pianificata. E come abbiamo imparato dalla pandemia, lo spazio ormai è diventato una risorsa sempre più limitata. L’aumento del numero delle metropoli e delle megacittà (ovvero città con più di 10 milioni di abitanti) si registrerà proprio nelle aree dove si concentrerà la crescita della popolazione precedentemente citata[3]. Nella frenetica corsa verso la sostenibilità urbana, come riusciranno le regioni più povere a stare al passo con i tempi? Potranno davvero permettersi di trasformare le proprie città, o addirittura, di crearne delle nuove come Telosa?
Se è vero che lo spazio genera l’uomo; che la “città comprende l’uomo, la città è l’uomo”[4]; che “la Città genera comunità, e la comunità genera la città”; se la struttura della città determina l’organizzazione di vita degli abitanti, perché non può essere vero anche il contrario? Perché la soluzione deve essere solamente tecnocratica e non soprattutto sociale? perché affidarsi al gigantismo metropolitano come soluzione se la posta in gioco del futuro è proprio lo spazio fisico? Ad oggi le città sono rimaste senza contesto, e il progetto di Telosa ha lo stesso retrogusto.
Franco La Cecla in Contro l’Urbanistica (Einaudi, 2015) enuncia: “(…) le città che conosciamo adesso non sono più adatte a quello che ci sta accadendo. Per arrestare o rallentare il cambiamento climatico occorre ripensare dalla base una serie di realtà date per scontate.” Perché allora gli stessi trend e analisi dei vari report delle più variegate organizzazioni internazionali – spiega sempre La Cecla – “non debbano portare a politiche di correzione invece che ad auspicare un mondo tutto urbano”? Il “fare città” è una tra le più antiche pratiche umane, ma è possibile declinare ciò nel caso del progetto di Telosa? O una città-prodotto come questa invece richiede una sua particolare comunità, rischiando di creare una nuova forma di zonizzazione urbana?
Ho ragionato sul progetto di Telosa con il professor Maurizio Zandri, docente in Teorie e dinamiche dei conflitti e Cooperazione e Sviluppo presso il nostro Ateneo. Anche il professore si è posto delle domande al riguardo, soprattutto nei confronti della comunità che andrà ad abitare il progetto di Marc Lore: “una città è soprattutto il frutto di una storia, di conflitti, di sovrapposizioni; è dunque possibile costruire una città ideale, dargli regole, principi e pensare che questi si trasferiscano automaticamente ai suoi abitanti?”
È proprio nella necessità di una comunità definita per Telosa, che si annidano dei rischi, come ad esempio di elitarismo, o di “selezione” degli abitanti come nei film di fantascienza.
Le città del futuro nasceranno da un percorso che non sarà veloce. Il processo riguarda molto i comportamenti umani, la rilettura delle priorità economiche e il cambio delle gerarchie degli interessi, “ancor prima che il portentoso impegno scientifico e tecnologico”, conclude il professor Zandri. Forse il progetto di Telosa ci aiuterà a ricordare queste necessità.
Bibliografia
[1] United Nations, Departmen of Economic and Social Affairs, Population Division, World Population Prospects 2019: Highlights, (2019) New York, United Nations
[2] United Nations Human Settlements Programme (UN-Habitat), World Cities Report 2020: Key Findings and Messages, (2020)
[3] United Nations Human Settlements Programme (UN-Habitat), Global State of Mettrtopolis 2020, Population Data Booklet, (2020) Nairobi, UN-Habitat. Vedi anche: United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division, The World’s Cities in 2018, Data Booklet (2018)
[4] Filoni M., Anatomia di un asssedio. La Paura nella città, (2019), Milano, Skira
Immagine:Telosa
uno dei render disponibili sul sito cityoftelosa.com