I partiti rivoluzionari di oggi
di Valerio Ambriola
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È il primo articolo del blog ma l’ultimo per consegna, mi hanno dato tempi di lettura rigidi quindi non potrò dilungarmi. Per altro essendo il mio primo articolo dovrà mantenere dei toni istituzionali che andranno perduti nei prossimi articoli. Dunque: Quali sono oggi i partiti rivoluzionari?
Non si può parlare di rivoluzioni senza scadere in banali luoghi comuni. Più onestamente non si può parlare di rivoluzioni perché c'è una sorta di divieto sacrale nell'affrontare la tematica. Subito si immaginano pericolosi sovversivi, dei comunisti oltranzisti, nel migliore dei casi dei vecchi idealisti. In questo articolo non si chiederà al lettore di simpatizzare per movimenti rivoltosi o rivoluzionari, proveremo a delineare una semplice analisi attuale delle rivolte e delle rivoluzioni, provando a tracciare le differenze tra ribelli e rivoluzionari di oggi.
Postuliamo che “i riformisti accettano la struttura generale di un’istituzione o ordinamento sociale ma la considerano suscettibile di miglioramento o di riforma, (…) i rivoluzionari affermano che le strutture devono venire radicalmente trasformate o sostituite” (Hobsbawm, I Ribelli – forme primitive di rivolta sociale, 1966, Piccola biblioteca Einaudi 2002).
Quindi i rivoluzionari non sono donne o uomini intrisi di ideologia marxista con il “Stato e Rivoluzione” di Lenin sottobraccio. La rivoluzione è una caratteristica sociale prima che ideologica. È evidente che i movimenti rivoluzionari e i movimenti riformisti useranno “praxi” differenti. È quindi fondamentale quando si studia un movimento sociale capire che forma di organizzazione, azione e prassi adotta. Faremo riferimento a due movimenti: Fronte Polisario e Unione delle comunità del Kurdistan. Valuteremo se questi sono considerabili come rivoluzionari o ribelli secondo il paradigma che ci ha fornito Hobsbawm.
Fronte Polisario
La storia dei partiti rivoluzionari contemporanei è fatta di movimenti indipendentisti, tuttavia, se spesso è una condizione necessaria, non è sufficiente e sfocia in sciovinismi campanilisti che poco hanno a che vedere con la necessità di autodeterminazione di un popolo, con la sovversione di un ordine socioeconomico egemone o lo stravolgimento di un sistema politico.
Il Fronte Polisario è un movimento che nasce al fine di garantire l’autodeterminazione del popolo Saharawi nel Marocco meridionale, attivo dal 1973. È un movimento terrorista per il Marocco, infatti la sede del Fronte Polisario è a Tinduf (in Algeria). Probabilmente ci troveremmo di fronte ad un partito “semplicemente” indipendentista se non fosse per altre “praxi” drastiche dal punto di vista sociale.
Andando oltre le “praxi” che caratterizzano il movimento, come la guerriglia e l’asimmetria del conflitto, che basterebbero in parte a giustificare l’appellativo rivoluzionario al movimento è interessante capire la struttura e il sistema sociale in cui vivono, che segna decisamente un differenziale tra la RASD e le altre nazioni della regione. La RASD vanta uno dei tassi di alfabetizzazione più elevati dell’Africa, sia uomini che donne hanno potuto perseguire gratuitamente l’università nella Cuba di Castro, in Libia e in Algeria. Questo ha formato oltre che una coscienza rivoluzionaria anche una classe dirigente in grado di far fronte a difficili scelte politiche.
Le donne sono il punto cardine amministrativo dei campi tendati e sono coinvolte nel processo politico ed economico della RASD. Il Fronte Polisario, governando la RASD, è a tutto tondo un partito rivoluzionario che “de facto” ha sovvertito un ordine preesistente (ndr del governo marocchino) e ha creato un ordine nuovo, una nuova società con costumi e idee diametralmente opposte all’autorità “de iure”.
Unione delle Comunità del Kurdistan
L’unione delle Comunità del Kurdistan è un’organizzazione politica che raggruppa i quattro principali “partiti apoisti”. Da un lato i meno noti e moderati PÇDK (Iraq) e PJAK (quest’ultimo “moderatamente” in lotta armata contro la Repubblica Islamica dell’Iran) e dall’altro i più noti i “pericolosissimi terroristi” del PKK (Turchia) e PYD (Siria).
Nell’analisi di questo fenomeno non possiamo non mantenere una visione di insieme che consiste in tre fattori chiave: Confederalismo Democratico, lotta armata, autodeterminazione. La lotta armata è ben strutturata, la guerriglia urbana rappresenta solo una piccola parte del confronto militare, frutto di un cambiamento accelerato dopo che eserciti occidentali hanno armato e addestrato le forze curde contro il Daesh (come l’Operazione “Prima Parthica” / “Inherent Resolve”).
La forza militare non rappresenta che un tassello nella costruzione del popolo curdo, il fattore autodeterminante di questo popolo non passa dai confini territoriali ma sulla libertà di organizzazione politica che di fatto amministra alcuni spazi in maniera autonoma.
Una delle sperimentazioni più affascinanti nasce dal Confederalismo democratico, in particolare dal municipalismo libertario, nato sulle idee del sociologo Murray Bookchin, che consiste nella democrazia diretta tramite assemblee popolari di piccoli agglomerati urbani o quartieri e quindi città, che sono federate in una confederazione di municipalità.
Questo sistema garantisce la massima rappresentatività popolare e di genere. È opportuno sottolineare che le politiche di genere sono particolarmente avanguardiste nel popolo Curdo, basti pensare al coinvolgimento delle donne nell’organizzazione militare YPJ oltre che alla grande partecipazione politica femminile.
Al netto di questi fattori. Possiamo considerare l’organizzazione curda come un movimento che tende a cambiare radicalmente i sistemi in cui agisce, con o senza la misura della forza, nella stessa organizzazione politica, sociale e amministrativa.
Senza nessun dubbio, senza nessun tentennamento possiamo affermare certamente che siamo di fronte a un fenomeno rivoluzionario.
Immagine: A small group of YPJ fighters relaxing together
Autore: Kurdishstruggle
CC BY