La grande incognita
di Alessandro Di Giuseppe
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Dalle 24:00 del 31 gennaio 2020 il Regno Unito è ufficialmente fuori dall’Unione Europea.
L’immagine della bandiera che viene rimossa da Bruxelles ben prima della mezzanotte del fatidico giorno è stata sicuramente di forte impatto, nessuno difatti intendeva fare gli straordinari per rispettare l’orario ufficiale.
L’iniziativa del referendum di Cameron nell’ormai lontano 2016, che per egli stesso si rivelò un’arma a doppio taglio, è solo il culmine di una storia d’amore mai sbocciata.
Fin dall’entrata di Londra nel ’73, in quella che allora era denominata ancora “Comunità Europea”, la posizione britannica riguardo l’unione degli Stati europei che andava sempre più rafforzandosi dal punto di vista economico, sociale e monetario (soprattutto da Maastricht in poi) è sempre e costantemente stata caratterizzata da diffidenze e incertezze non sempre ingiustificate.
Chi non ricorda il celebre “I want my money back“ pronunciato dalla Lady di ferro al consiglio Europeo di Dublino nel settembre del ’79.
Riuscire a comprendere i reali motivi e i sentimenti che hanno mosso tale decisione rimane tuttavia un’impresa piuttosto ardua.
Oltre l’atavico timore di un’unione continentale europea che costituisce da sempre un interesse nazionale britannico, gli atteggiamenti dei due principali Paesi dell’Unione hanno sicuramente influito nella scelta di Londra.
L’impressione che Francia e Germania usino l’Unione semplicemente come amplificatore della loro forza economica, finanziaria e politica è condivisa da molti e non solo dagli inglesi.
L’esempio più lampante e in certi sensi clamoroso è rappresentato dal Trattato di Aquisgrana, firmato il 22 gennaio 2019, che rafforza ulteriormente la cooperazione bilaterale tra Parigi e Berlino istituita nel ’63 con il “Trattato dell’Eliseo” e che istituisce addirittura un’assemblea parlamentare comune.
E il Parlamento Europeo?
Viene spontaneo chiedersi quali effetti di delegittimazione politica possano incombere su Bruxelles.
I dati economici parlano chiaro.
Secondo le ultime previsioni di Bank of England, che ribassano le stime precedenti, il quadro dell’economia britannica non appare poi così drammatico. La crescita per quest’anno si attesterà intorno ad un + 0,8% prevedendo una crescita dell’1,4 % per il 2021 e dell’1,7 % per il 2022.
Per quanto riguarda la difesa comune dell’Unione invece, la Brexit ha sconvolto tutti i precedenti assetti.
In linea puramente teorica l’Unione si vedrebbe privata di un partner considerevole dal punto di vista militare, logistico e di intelligence.
Appare lecito aspettarsi che un ruolo di cooperazione militare avvenga comunque nell’ambito Nato.
Uno dei problemi più spinosi tuttavia sembra essere quello del ruolo decisionale nei meccanismi della PESD che i britannici vorrebbero mantenere, incontrando però non poche resistenze europee, dato che la difesa, oltre ad un ruolo oggettivo, costituisce uno dei cardini di una futura sovranità condivisa vista come base dell’Unione.
In ogni caso, per il momento, i cambiamenti reali di tale scisma risultano ancora di difficile comprensione e si potrà avere una prima contezza delle conseguenze solo alla fine del periodo transitorio, e degli accordi presi in tale periodo, che si chiuderà il 31 dicembre del 2020.
L’unica cosa certa che si può affermare è che la Brexit costituisce indubbiamente un “unicum” storico che può dare il via ad una vera e propria rivoluzione per l’Unione.
Sicuramente il forte peso della Gran Bretagna rende tale scissione fattibile, mentre diversa sarebbe la situazione per altri membri dell’unione che intendessero recedervi, specialmente per gli aderenti all’ eurozona.
In ogni caso la Brexit conferma la fattibilità del processo di uscita dall’UE, rimarcando la possibilità di un percorso attuabile e percorribile.
Immagine: Brexit auf Wegweiser
Autore: Christoph Scholz
CC BY SA