Le due facce della medaglia di Hong Kong
di Ilaria Tatangelo
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La penisola di Hong Kong è da anni uno dei porti commerciali più grandi e importanti del mondo, ex colonia britannica, essa è la “casa” di varie culture, religioni ed etnie differenti.
Analizzando la sua posizione da un punto di vista geografico possiamo notare che Hong Kong è formata da un’isola principale (quella di Hong Kong per l’appunto), dalla penisola di Kowloon, dai Nuovi Territori e da più di altre 200 isole. Essendo un’isola appartenuta al controllo del governo britannico fino al 1997 la sua popolazione è stata decisamente influenzata dalla cultura e dall’ordinamento britannico.
Quando nel 1997 L’Inghilterra cedette il suo controllo al governo della Cina si stabilì che Hong Kong sarebbe stata una regione amministrativa speciale cinese, sinteticamente parlando, una regione appartenente alla Cina ma con una sua autonomia.
Avendo però una “data di scadenza” questo regime non fece altro che portare a scontri, ancora oggi presenti, tra i cittadini di Hong Kong e la Cina.
Ci troviamo davanti a due fronti: da un lato gli hongkonghesi che vedono avvicinarsi la fine di questi cinquant’anni e, dall’altro, la Cina che conta le ore, i minuti e i secondi affinché possa ottenere il dominio totale sull’isola.
Prima del 1997 Hong Kong basava la sua economia sull’apertura capitalistica e il suo sistema giuridico, legislativo e scolastico erano modellati su quello inglese.
Il passaggio dal Regno Unito alla Cina fu accompagnato dal consequenziale passaggio (decisamente drastico per gli abitanti dell’isola) al modello repressivo del governo Cinese. Hong Kong si trova nel mezzo di un limbo che prende il nome di Basic Law, un regime della durata di cinquant’anni che sancisce il dominio di Hong Kong alla Cina ma che sottolinea l’autonomia e la libertà che la penisola deve mantenere.
Per rendere questo cambiamento più “digeribile” il governatore Cinese in carica nel 1997, Deng Xiaoping, stabilì il principio “Un paese, due sistemi” su cui si regge il rapporto turbolento tra Cina e Hong Kong.
La sintesi di questo principio è lo scopo di unificare l’unità nazionale della Cina con la diversità che viene riconosciuta ad Hong Kong specialmente dal punto di vista dell’ordinamento giuridico, politico, legislativo ed economico. Il loro sistema giudiziario è indipendente e si basa sulla Common Law, il principio su cui si basa l’ordinamento anglosassone.
Hong Kong è abitata da 7 milioni di persone, il 95% della popolazione ha origini cinesi, 1,6% filippina, 1,3% indonesiana e il restante 2% di altre origini. Secondo un recente studio, di quel 95% di abitanti di etnia cinese, solo l’11% di loro afferma di essere cinese, il restante lo nega con fermezza.
Questa precisazione numerica non fa altro che rendere più trasparente la grande scissione che vi è all’interno delle stesse strade di Hong Kong e nella sua popolazione. Le rivolte di cui oggi ascoltiamo in tv, leggiamo sui vari blog e di cui spesso non ci interessiamo abbastanza, non sono poi così “recenti”; la prima rivolta vi fu sei anni fa, nel 2014, la così conosciuta “Rivolta degli ombrelli”.
Questa rivolta pacifica fu scaturita dalla richiesta di una maggiore autonomia, di una democrazia e di un suffragio universale. La rivolta fu organizzata durante una delle tante celebrazioni che si tennero nel Luglio del 2014 per l’anniversario della restituzione di Hong Kong alla Cina. Il nome che viene attribuito alla rivolta prende ispirazione degli ombrelli gialli che i manifestanti usarono per proteggersi dai gas lacrimogeni utilizzati dalle forze dell’ordine per porre fine alla protesta.
La durata della protesta fu di tre mesi in cui, però, non si arrivò ad una conclusione a favore delle richieste dei partecipanti.
Contrariamente, la protesta che fino a poco tempo fa mise Hong Kong in ginocchio è durata cinque mesi ed iniziata con la richiesta della “Legge di estradizione” (una cooperazione giudiziaria tra Cina e Regno Unito che, se fosse stata approvata dal Parlamento interno, avrebbe consentito di processare gli accusati di gravi crimini nella Cina continentale) per poi “estendersi” e terminare con una lotta di libertà del popolo di Hong Kong.
Bisogna tenere a mente che alla base della cultura Cinese vi è la censura di tutto ciò che possa essere considerato dal governo “contro di questo”. Nel 2016 chiusero molte librerie che pubblicavano e vendevano libri riguardanti le precedenti manifestazioni accadute in strada nel 2014.
I giovani, che sono il principale personaggio delle recenti rivolte, sono preoccupati e hanno paura di cadere sotto un regime totalitario, simile alla dittatura, che li possa reprimere e lobotomizzare in base alle loro decisioni e scelte di governo. Leggendo dell’organizzazione di queste rivolte si assiste alla concretizzazione del mito di Davide e Golia catapultato nell’era della globalizzazione e dell’evoluzione. Questa narrazione biblica a cui facciamo riferimento non è altro che l’espressione del coraggio che trionfa sulla superiore e bruta violenza.
Non vorrei uscire fuori dal tema centrale di questo articolo ne tantomeno banalizzarlo parlando di una leggenda ma, al contrario, rendere al meglio, con esempi chiari e comprensibili, cosa è che accade intorno a noi. Golia è un gigante alto tre metri, armato di una corazza di quaranta chili e di una lancia con una punta del peso di cinque chili. Davide è un ragazzo, troppo giovane per poter combattere in un esercito ma che, alla richiesta di sfida di Golia, non osa tirarsi indietro e scappare. Davide parte; egli è armato con un elmo di bronzo, una corazza e una spada. Davanti a Golia non tentenna: prende un sasso, lo scaglia contro la fronte del gigante e lo abbatte.
La Cina è una potenza mondiale, il suo territorio si estende su 9.596.000 km², è il quarto stato più grande del mondo per superficie e possiede il più grande esercito permanente del mondo. Gli Honghonkesi manifestanti sono ragazzi, troppo giovani per manifestare, lasciare la scuola e sfidare una potenza gigante. Eppure si armano, decidono di scendere nelle strade, di combattere, di richiedere i loro diritti, di esporsi in nome della loro libertà. Sono armati come Davide di un elmo democratico, di una corazza pacifica e di una spada di giustizia.
Le rivolte di Hong Kong non sono altro che un grande coro di voci di persone impaurite per il loro futuro e scoraggiate del loro governo.
I quattro punti richiesti dai manifestanti sono:
- Non essere etichettati come “rivoltosi”
- Il rilascio dei manifestanti
- Creazione di una commissione indipendente che giudichi gli atti violenti delle forze dell’ordine
- Le dimissioni della governatrice Carrie Lam e la possibilità di eleggere un nuovo rappresentate con il suffragio
Il governo Cinese non intende concedere questi punti agli abitanti di Hong Kong perciò tenta di utilizzare tutti i suoi mezzi a disposizione per cessarla.
Per giorni i giovani hanno trasformati il Politecnico di Hong Kong nella loro roccaforte per proteggersi dalle forze dell’ordine mandate dal governo a sedare le rivolte. Hanno deciso di costruire dei veri e propri percorsi a ostacoli per rendere più difficile il passaggio e per barricarsi in modo efficace.
Dai vari punti di osservazione, come il ponte che porta all’università, vi erano addetti al monitoraggio della situazione e dell’avvistamento delle forze dell’ordine. I compiti erano suddivisi, vi era anche chi proteggeva il perimetro munito di archi e frecce, chi era incaricato a preparare i pasti per i ragazzi che protestavano. Una grande macchina costituita da persone che si muovono come ingranaggi.
Chi decideva di lasciare il campus veniva preso dalla polizia che era incaricata di fermare chiunque uscisse, aiutasse o agevolasse l’andamento della protesta. Chi veniva fermato veniva preso ed arrestato secondo gli ordini del governo Cinese.
Il governo cinese, negli anni, ha adottato un “muro” di censura e controllo dei social network e del loro utilizzo, specialmente quando si tratta di siti stranieri. Il muro prende il nome di “Great Firewall”. Il governo è sempre stato bravo ad orchestrare fake news da condividere sui vari media cinesi, ciò ha creato varie volte una disinformazione generale a favore del governo cinese e della sua politica.
Ovviamente bisogna considerare tutti i vari fattori e motivazioni che hanno spinto i manifestanti a scendere nelle strade così come, però, andrebbe valutata anche l’importanza economica, sociale che il governo cinese otterrebbe se Hong Kong fosse di sua proprietà. E quindi il motivo di tale bramosità nei confronti di questa penisola.
Leggendo e documentandomi su vari siti, giornali, riviste e blog ho trovato centinaia di aggiornamenti e notizie orientate dalla parte dei manifestanti ma, neanche una, orientata dalla parte della grande potenza, la Cina. Senza dubbio vivere sotto un regime totalitario e repressivo non è una favola utopica che si può raccontare ai bambini prima di andare a dormire, questo lo comprendo.
Il punto a cui voglio arrivare è la semplice e pura “Conoscenza dei fatti”, sia positivi che negativi; informarsi sia dal punto di vista dei rivoltanti che da quello del Governo Cinese.
Documentarsi vuol dire conoscere e, senza analizzare le due “facce della medaglia” non si può davvero ammettere di essere a conoscenza di una notizia nella sua interezza.
Immagine: File DSCF8385
Autore: Studio Incendo
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