L’Europa nella nuova National Security Strategy statunitense: due letture a confronto
di Leonardo Paglia e Chiara Biagi
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Il 4 dicembre 2025 è stato pubblicato l’ultimo documento della National Security Strategy (NSS) dall’amministrazione del presidente Donald Trump. La NSS è una visione, un manifesto politico-strategico che partendo dalla lettura di Washington delle relazioni internazionali definisce il ruolo degli Stati Uniti nel Sistema Internazionale (SI). Il fine della NSS è quello di orientare l’azione dell’intero apparato statale (diplomazia, difesa, intelligence ed economia) traducendo priorità politiche e ideologiche in linee guida operative. La pubblicazione della NSS ha aperto in Europa un acceso dibattito dal momento che l’alleanza transatlantica non è più percepita come un dato naturale, bensì come una relazione più complessa, nella quale ruoli, responsabilità e aspettative reciproche devono essere ripensati.
L’Europa resta un partner strategico fondamentale, ma non più un alleato da sostenere incondizionatamente. Washington riconosce il valore storico, politico e culturale del legame transatlantico, ma al tempo stesso chiede agli Stati europei di assumersi una responsabilità molto maggiore nella propria sicurezza. La strategia insiste sulla necessità che l’Europa rafforzi le proprie capacità militari, aumenti la spesa per la difesa e riduca la dipendenza dall’ombrello strategico americano, soprattutto sul fronte orientale e nel rapporto con la Russia. Parallelamente, emerge una visione critica verso l’assetto istituzionale europeo: l’Unione Europea (Ue) è marginalizzata nel discorso strategico e associata a strutture transnazionali considerate potenzialmente limitanti per la sovranità politica. Gli Stati Uniti sembrano preferire un rapporto basato su Stati nazionali “sovrani ma allineati”, piuttosto che su un’integrazione multilaterale forte. In questo quadro, il legame transatlantico non viene abbandonato, ma ridefinito: l’Europa è chiamata a farsi carico in prima persona delle minacce
che la riguardano direttamente, mentre gli Stati Uniti spostano progressivamente il proprio focus strategico verso altre priorità globali, dalla competizione tecnologica alla rivalità tra
grandi potenze.
Quanto dovremmo preoccuparci di questo ridimensionamento strategico statunitense? Come può l’Europa prepararsi al nuovo contesto globale? E come si posizioneranno le grandi potenze nella nuova scacchiera mondiale?
A tale proposito abbiamo intervistato due esperti di politica internazionale: l' Ambasciatore Maurizio Melani, Professore straordinario di Relazioni Internazionali all’Università degli Studi Link e Co-Presidente del Circolo di Studi Diplomatici, e il Dott. Tiberio Graziani, direttore della rivista di politica internazionale Geopolitica e chairman dell'international institute for global analysis Vision & Global Trends. Di seguito le domande con annesse risposte di ognuno.
1. Alla luce della nuova NSS statunitense, il vincolo esterno che ha condizionato l’Europa per decenni è davvero venuto meno o gli Stati Uniti esercitano oggi una forma diversa di influenza sull’Europa?
Ambasciatore Maurizio Melani: L’Amministrazione Trump, come emerge in modo
abbastanza chiaro nella nuova strategia di sicurezza americana, intende esercitare un’influenza spartitoria sull’Europa che, come la Russia, la vuole divisa. Questo approccio mira a indebolire l’Ue , considerata un avversario, e a mettere in discussione la garanzia di sicurezza fornita attraverso la NATO. È stata così impressa una radicale svolta alla politica americana dalla Seconda guerra mondiale. Va peraltro rilevato che negli Stati Uniti crescono le opposizioni a questo approccio anche all’interno dello stesso Partito repubblicano, nella consapevolezza di quanto sia importante per la sicurezza dell’America anche quella dell’Europa.
Dott. Tiberio Graziani: La NSS si colloca in larga continuità con i documenti precedenti, riflettendo il tentativo degli Stati Uniti di mantenere un’egemonia globale pur in un contesto segnato dall’emergere di nuovi poli di potere. In questo quadro si può parlare di una forma di unipolarismo reattivo, attraverso la quale le amministrazioni Trump hanno cercato di rispondere ai mutamenti del sistema internazionale puntando in particolare sulla reindustrializzazione. Tale strategia, oltre a rafforzare il consenso interno, ha avuto un impatto significativo sull’industria europea e contribuisce a spiegare perché l’Europa non sia più percepita solo come partner, ma come un attore chiamato a sostenere maggiormente lo sforzo economico e strategico americano, anche attraverso l’aumento della spesa militare in ambito NATO. Ne consegue che il vincolo esterno sull’Europa permane, limitando lo sviluppo di una reale autonomia strategica e influenzando anche i rapporti europei con la Russia.
2. Se il vincolo esterno si è trasformato, l’Europa ha oggi le condizioni per costruire una reale autonomia strategica?
Ambasciatore Maurizio Melani: Con la presa di distanza di Trump dalla garanzia di sicurezza fornita dalla NATO, diventa essenziale per l’Europa acquisire autonomia strategica e capacità di dissuasione attraverso diversi strumenti, tra cui anche quello militare. A questo scopo è però necessaria una volontà politica convergente degli Stati membri che, al momento, manca. Qualora non fosse possibile ottenerla a 27 o ancor più dopo i previsti allargamenti, sarà necessario che un gruppo di Stati membri disponibili, attorno al nucleo dei maggiori Paesi fondatori, proceda nella direzione di un’Unione sempre più stretta e di un ampliamento delle condivisioni di sovranità.
Dott. Tiberio Graziani: L’Europa non dispone oggi delle condizioni necessarie per costruire una reale autonomia strategica. In primo luogo, manca una capacità di difesa comune: non esiste un esercito europeo né una vera industria della difesa integrata, ma solo industrie nazionali in competizione tra loro.
A ciò si aggiunge una debolezza di natura politica e geopolitica, poiché l’Unione Europea non costituisce un’unità politica paragonabile agli Stati continentali come Stati Uniti, Russia o Cina, all’interno dei quali esiste un chiaro riferimento al potere e un riconoscimento da parte dei cittadini. Un ulteriore limite fondamentale riguarda l’assenza di una politica energetica unitaria. L’Unione Europea comprende Paesi altamente industrializzati ma strutturalmente dipendenti dall’esterno per l’approvvigionamento energetico. La rinuncia ai canali energetici russi, avvenuta anche su impulso di Stati Uniti e Regno Unito, ha accentuato questa dipendenza, costringendo l’Europa a rivolgersi a fornitori alternativi, in particolare agli Stati Uniti, a costi significativamente più elevati. In assenza di una strategia comune su difesa, politica ed energia, l’autonomia strategica europea resta dunque fortemente limitata.
3. Oltre al ruolo degli Stati Uniti, quali sono oggi i principali ostacoli interni che impediscono all’Europa di agire come attore strategico unitario?
Ambasciatore Maurizio Melani: Un primo ostacolo è rappresentato dal fatto che, per acquisire le capacità necessarie, occorre sviluppare un’adeguata produzione industriale nel settore degli armamenti, processo che richiede alcuni anni prima di poter soddisfare le esigenze determinate dalle minacce individuate. A questo scopo sono necessarie integrazioni tra aziende di diversi Paesi e acquisizioni progressivamente comuni, al fine di eliminare o quantomeno ridurre sprechi e duplicazioni che rendono la spesa militare europea assai meno efficace di quella degli Stati Uniti o di altri grandi attori dello scenario mondiale. A ciò si aggiunge il consenso acquisito negli ultimi anni da forze politiche contrarie a un’estensione delle condivisioni di sovranità, che sta ostacolando il processo.
Dott. Tiberio Graziani: I principali ostacoli interni che impediscono all’Europa di agire come attore strategico unitario risiedono primariamente nell’egoismo nazionale degli Stati membri. L’esperienza dell’euro ha mostrato come l’unione monetaria sia stata di fatto costruita attorno agli interessi tedeschi, con la Germania che, in asse con la Francia per molti anni, ha esercitato una leadership percepita come egemonica e coercitiva. Ciò ha contribuito a creare profonde fratture all’interno dell’Unione, in particolare con i Paesi dell’Europa meridionale, spesso etichettati come “pigri” dall’anglosfera e dal nucleo centrale europeo, alimentando sfiducia reciproca. Queste divisioni si sono riflesse anche nella gestione delle
crisi internazionali. Il caso della Libia nel 2011 è emblematico: Paesi europei formalmente alleati, come Francia e Regno Unito, hanno agito in modo unilaterale e in contrasto con gli interessi italiani, nonostante l’esistenza di accordi bilaterali rilevanti. Analoghe difficoltà sono emerse nella gestione della crisi balcanica, della crisi greca e, più in generale, nella risposta alla crisi finanziaria globale del 2007-2008, che ha mostrato come il vero centro decisionale dell’Occidente restasse negli Stati Uniti. Tutti questi elementi confermano l’incapacità dell’Unione Europea di sviluppare una visione condivisa e una reale coesione strategica.
4. Nel contesto multipolare attuale, l’Europa può ancora aspirare a essere un soggetto autonomo tra Stati Uniti, Russia e Cina o rischia di restare un’area di competizione tra potenze?
Ambasciatore Maurizio Melani: L’Europa, o meglio l’Ue, o una sua parte determinata a perseguire un’integrazione sempre più stretta, deve essere un soggetto autorevole e ascoltato nel contesto multipolare che si va profilando. Anche attraverso una difesa comune che possa costituire, auspicabilmente, il pilastro europeo dell’Alleanza atlantica, sempre che gli Stati Uniti intendano preservarla. In caso contrario, il suo destino rischia di essere quello della subordinazione ad altre potenze, come accadde agli Stati italiani del Rinascimento, rimasti divisi nonostante gli inascoltati appelli all’unità di Machiavelli.
Dott. Tiberio Graziani: Nel contesto multipolare attuale il sistema internazionale tende a strutturarsi attorno a due poli principali: da un lato la Cina, che continua a crescere e ad ampliare il proprio spazio internazionale nonostante difficoltà economiche e finanziarie; dall’altro gli Stati Uniti, che restano la potenza egemone, ma in una fase di progressiva erosione della propria leadership. In questo quadro, la questione centrale è se l’Europa, o anche solo alcuni Paesi europei, dispongano degli strumenti necessari per sviluppare una politica realmente autonoma. A mio avviso, né i singoli Stati europei né l’Unione Europea, soprattutto con l’attualem leadership, sembrano oggi in grado di esercitare una simile autonomia. La capacità di sottrarsi a una posizione di subordinazione agli Stati Uniti o di collocarsi in modo
indipendente rispetto agli altri poli appare fortemente limitata. Ne deriva il rischio concreto che l’Europa resti prevalentemente un’area di competizione tra grandi potenze, più che un attore strategico autonomo, pur continuando a occupare una posizione rilevante nel sistema internazionale.
5. Che tipo di rapporto dovrebbe costruire l’Europa con la Cina?
Ambasciatore Maurizio Melani: La Cina è al tempo stesso un importante partner economico, che può restare tale se non continua a indulgere in pratiche commerciali sleali e se la sua presenza nelle nostre economie non supera determinati livelli, mettendo a rischio aspetti rilevanti della nostra sicurezza. Allo stesso tempo, essa rappresenta un rivale sistemico. Sarà quindi necessario definire regole condivise, tenendo presenti anche i timori, gli interessi e le conseguenti posizioni degli alleati nell’Indo-Pacifico - Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda - oltre al Canada e, ovviamente, al Regno Unito.
Dovranno inoltre essere considerate le esigenze legate alle importazioni di minerali strategici indispensabili per le transizioni energetica e digitale. Importanti, sotto tutti i profili, saranno infine i rapporti economici, politici e militari con le altre aree emergenti dell’Asia, a partire dall’India, così come con i Paesi del Golfo, dell’Africa e dell’America Latina.
Dott. Tiberio Graziani: Sul piano economico e commerciale, esistono e continuano a consolidarsi relazioni rilevanti tra alcuni Paesi europei e la Cina, che rappresentano un dato strutturale difficilmente reversibile. Questo elemento rende inevitabile il mantenimento di un rapporto con Pechino, indipendentemente dalle difficoltà politiche e strategiche che tale relazione comporta. Dal punto di vista geopolitico e infrastrutturale, inoltre, l’Europa costituisce il terminale naturale della Nuova Via della Seta. Questa collocazione rende impossibile per il continente sottrarsi a un’interazione con la Cina, che non può essere ignorata né esclusa dal quadro delle relazioni europee.
Il rapporto con Pechino si configura quindi come una necessità strutturale più che come una scelta strategica pienamente autonoma, inserendosi in un contesto in cui l’Europa continua a muoversi entro vincoli esterni significativi.
6. Dall’inizio della guerra l’Europa ha soprattutto sostenuto l’Ucraina sul piano economico e militare. Avrebbe potuto svolgere un ruolo diverso, ad esempio più diplomatico, o questo spazio non era realmente disponibile? In caso affermativo, in che modo avrebbe potuto riconoscere il diritto alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina e allo stesso tempo riconoscere la legittimità delle preoccupazioni di Mosca relative alla propria sicurezza?
Ambasciatore Maurizio Melani: Prima e durante il conflitto, nelle due fasi avviate nel 2014 e nel 2022, alcuni Paesi europei, in particolare Francia e Germania , quest’ultima anche in considerazione dei suoi rilevanti rapporti economici con la Russia, hanno perseguito un approccio diplomatico accanto al sostegno all’Ucraina nel momento in cui è stata aggredita. Dopo il 2014 hanno favorito gli accordi di Minsk, ai quali però non è stato dato seguito né
dalla Russia né dall’Ucraina. Alla vigilia dell’aggressione del 2022 e nella sua prima fase, gli approcci ai massimi livelli di Francia e Germania, sostenuti dalle istituzioni europee e dall’Italia, hanno incontrato l’indisponibilità russa a trattare una soluzione che non fosse la resa dell’Ucraina. Ricordo che nel 2022 un gruppo di Ambasciatori, del quale facevo parte, propose una soluzione per una pace giusta, rispettosa del diritto internazionale e della volontà delle popolazioni. Essa prevedeva referendum organizzati dalle Nazioni Unite e dall’OSCE, accompagnati da garanzie di sicurezza sia per l’Ucraina sia per la Russia. Di questa prospettiva si torna oggi a discutere in ambito europeo su richiesta di Zelensky, ma la Russia non accetta un’impostazione di questo tipo, così come non la accettò allora.
Dott. Tiberio Graziani: L’Europa avrebbe potuto tentare di svolgere un ruolo più marcatamente diplomatico, ma non è riuscita a farlo in modo efficace. In altre fasi storiche, come nel caso dei Balcani o della crisi libica, l’Unione Europea avrebbe potuto esercitare una funzione di mediazione e non vi è motivo per cui non avrebbe potuto provarci anche nel conflitto ucraino.
Nei primi mesi del 2022, così come già nel 2011, la Turchia si era proposta come possibile mediatore. L’Europa avrebbe potuto cogliere questa occasione per promuovere un proprio tavolo di pace, ad esempio in una capitale europea, come Roma, Parigi o Berlino. In questo modo avrebbe potuto ritagliarsi un ruolo terzo, coerente con la sua vocazione originaria di spazio di neutralità e di composizione delle tensioni internazionali.
Un simile approccio avrebbe consentito di affermare con chiarezza il principio della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, inserendolo però all’interno di un quadro negoziale capace di tenere conto anche delle preoccupazioni di sicurezza della Federazione Russa. Questa possibilità, tuttavia, non è stata perseguita.
7. A oltre due anni dall’inizio del conflitto, quanti margini di autonomia ha oggi l’Europa nella gestione della guerra in Ucraina?
Ambasciatore Maurizio Melani: Sul piano militare l’Europa può continuare a fornire all’Ucraina i mezzi per resistere, che in questa fase deve però in buona parte acquistare a prezzi elevati dagli Stati Uniti. Sul piano diplomatico occorre vedere quanto riuscirà a influire sulla posizione degli Stati Uniti. A questo scopo il necessario dialogo dovrebbe essere sostenuto da adeguati mezzi di pressione sugli aspetti ai quali Washington è più sensibile, come ad esempio il trattamento delle grandi imprese digitali. Sull’uno e sull’altro piano l’Europa sarà però esposta alle ritorsioni russe e americane e potrà dover affrontare divisioni al suo interno. Anche negli Stati Uniti potranno tuttavia esservi reazioni, auspicabilmente tali da limitare la linea aggressiva dell’Amministrazione verso l’Europa.
Dott. Tiberio Graziani: A oltre due anni dall’inizio della guerra, i margini di autonomia dell’Europa appaiono molto limitati. L’Unione Europea non è riuscita a definire una propria strategia politica e diplomatica indipendente e ha finito per muoversi all’interno di un quadro sostanzialmente determinato da Washington. La progressiva marginalizzazione europea nel processo decisionale riflette una difficoltà più profonda: l’incapacità di pensarsi come attore autonomo in un ordine internazionale sempre più policentrico. Questa condizione non riguarda soltanto il conflitto ucraino, ma investe più in generale il ruolo dell’Europa nello scenario globale. La gestione della guerra in Ucraina conferma quindi la persistenza di un vincolo esterno molto forte, che continua a condizionare le scelte europee e a limitare la capacità dell’Unione di agire come soggetto politico e strategico autonomo.
8. Indipendentemente dall’esito del conflitto, come dovrebbe cambiare l’approccio europeo alla sicurezza e alla difesa nei prossimi anni?
Ambasciatore Maurizio Melani: L’Europa, probabilmente in formati diversi da quello dell’UE a 27, dovrà necessariamente dotarsi di una capacità di difesa comune e di dissuasione rispetto a minacce attuali o potenziali. Dovrà al tempo stesso sviluppare un dialogo politico e diplomatico con tutti i possibili interlocutori, sia per prevenire e risolvere conflitti sia per collaborare nel contrasto ai cambiamenti climatici e nella gestione dei loro effetti sulla sicurezza globale. Ciò riguarda anche le transizioni energetica e digitale, con particolare attenzione all’intelligenza artificiale. Le capacità difensive dovranno riguardare soprattutto i sistemi di protezione contro missili e droni e contro la guerra ibrida, nonché adeguati sistemi di difesa convenzionale terrestre, marittima, di superficie e subacquea, aerea e spaziale. A questo scopo, accanto alle risorse derivanti dalle economie di scala e dalle razionalizzazioni dovute a una spesa più efficiente e condivisa in un contesto di integrazione, occorrerà un bilancio comune più consistente. Esso dovrà essere alimentato da una tassazione europea dedicata e da un debito comune, come avvenuto durante la pandemia e nella fase successiva, preservando al contempo le spese proprie del modello sociale europeo per la sanità, l’istruzione, la ricerca e l’accompagnamento della transizione energetica. Venendo meno la credibilità della deterrenza nucleare americana, emerge il problema dell’assenza di una deterrenza europea credibile. Francia e Germania vi stanno riflettendo in dialogo con il Regno Unito. È necessario che anche l’Italia sia pienamente parte di questi processi. L’Europa deve infine rilanciare il tema del controllo degli armamenti e di un disarmo bilanciato e reciprocamente controllato, come avvenne nella seconda fase della guerra fredda.
Si tratta di un obiettivo molto difficile nell’attuale contesto, ma da perseguire in conformità all’articolo VI del Trattato di non proliferazione.
Dott. Tiberio Graziani: L’Europa dovrebbe innanzitutto chiarire quale ruolo intenda occupare in un mondo sempre più policentrico. A mio avviso, oggi questo non è affatto chiaro. Permane una forte autoreferenzialità e una presunzione normativa, ossia l’idea di poter esportare ovunque il modello europeo di democrazia liberale, senza tenere adeguatamente conto dei reali rapporti di forza. Questo approccio risulta problematico quando si parla di sicurezza e difesa, perché non è possibile costruire una strategia credibile prescindendo dai fattori di potenza presenti sul terreno. In una prospettiva storica, l’Europa avrebbe invece bisogno di ragionare in termini di architettura di sicurezza comune, come si era tentato di fare in passato, ad esempio con il dialogo avviato a Pratica di Mare tra la NATO e la Russia. Solo all’interno di un quadro di sicurezza condivisa è possibile affrontare in modo realistico questioni complesse come la sovranità dell’Ucraina e le preoccupazioni di sicurezza della Federazione Russa. Se invece il conflitto viene letto esclusivamente in termini morali, di contrapposizione tra bene e male,
l’Europa dei valori è destinata a rimanere politicamente inefficace. Occorre inoltre interrogarsi, in una prospettiva di lunga durata, sul futuro stesso dello Stato nazionale e dell’Unione Europea. Nulla garantisce che le attuali forme politiche siano destinate a rimanere immutate. L’Ue potrebbe ridimensionare le proprie ambizioni e ridefinire il proprio ruolo, ad esempio come grande spazio economico inserito nei nuovi poli finanziari e commerciali globali. Sono riflessioni necessarie per evitare di procedere per inerzia e per costruire una visione strategica del futuro.
Infine, guardando al caso italiano, emerge una carenza più generale di classi dirigenti e di una visione condivisa del ruolo del Paese, una debolezza che si riflette anche nei mondi dell’università e della formazione e che rende ancora più difficile affrontare le sfide della sicurezza e della difesa nei prossimi anni.
Immagine: generata da OpenAI